La morte a Berkeley. Verità, tradizioni, dubbi

Molte persone possono aver letto storie truci sulla morte di Edoardo II a Berkeley. Le cronache dell’epoca parlano di morte per cause naturali, ma le voci di un suo assassinio si diffusero in fretta. Col passare del tempo, la storia del suo omicidio assunse sfumature dantesche legate alla presunta omosessualità del sovrano, e ancor oggi l’idea che fosse stato ucciso con uno spiedo rovente è ben radicata nella tradizione popolare.

Eppure, fin dal momento della diffusione della notizia della sua morte, si sparsero voci sulla sopravvivenza di Edoardo II. Ne era convinto, per esempio, l’arcivescovo di York William Melton, che nel 1330 scrisse una lettera al sindaco di Londra avvertendolo dell’imminente liberazione del sovrano e incaricandolo di procacciare abiti, vettovaglie e fiorini d’oro – probabilmente per un viaggio sul Continente di quest’ultimo. Il fratellastro di Edoardo II, Edmund conte di Kent, fu protagonista di un fallito tentativo di liberare il monarca dal castello di Corfe, in cui riteneva fosse tenuto prigioniero proprio fino al 1330. Edmund venne condannato a morte da Roger Mortimer per quest’azione. Persino il papa dell’epoca dubitava che Edoardo II fosse veramente morto. Tuttavia, la versione più sorprendente dell’evolversi della vicenda viene delineata nella celebre Lettera Fieschi, la missiva indirizzata da Manuele de Fieschi a re Edoardo III nel 1336.

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